Primi frammenti di Bolivia

Isabella, SCU Bolivia 2022

Sarebbe facile iniziare a descrivere la Bolivia partendo dai picchi innevati che fanno da cornice alla megalopoli di La Paz, dai mille colori e tessuti portati con fierezza dalle abuelitas le quali, quasi eterne, popolano i mercati della città oppure, banalmente, dall’immancabile fiatone – maledetta altura – che ti assale le prime settimane quando decidi spavaldamente di accelerare un attimo il passo. Questi sono tutti aspetti reali, non lo metto in dubbio, eppure non riescono a riassumere l’essenza della Bolivia senza ricadere, inevitabilmente, in facili stereotipi e immagini che tanto piacciono a noi gringos. Qui non c’è solo l’incontro con le tradizioni, le cholitas dalle lunghe trecce nere che masticano foglie di coca, ma anche con una città colma di murales, palazzi che spuntano quasi da un giorno all’altro, manifestazioni politiche e non, di caotici e strombazzanti mini bus – i quali fermano esattamente dove tu lo richiedi – contrapposti al più che moderno teleferico, la cabinovia che permette di ovviare il traffico cittadino ammirando l’intera estensione di La Paz dall’alto. La prima verità è che sono arrivata in Bolivia da poco più di un mese. La seconda verità è che io questo paese lo devo ancora capire, e mi sta bene così. Sì, sarebbe pretenzioso voler comprendere in poco tempo tutta la complessità che questa nazione e questa città, tanto particolare e unica nel suo genere, si portano appresso. Starò qua un anno, eppure ho già la sensazione che mi rimarrà in bocca il sapore di qualcosa di sfuggente, di inesplorato. Cosa posso raccontarvi? Lavoro in un centro educativo, nel quali i ragazzi e le ragazze vengono al mattino o al pomeriggio, a seconda delle fasce orarie nelle quali frequentano la scuola. Personalmente non me la sentirei di definire il centro “solo” come un dopo scuola, ho già potuto percepire quanto questo spazio e questi luoghi rappresentino in realtà molto di più, sia per i ragazzi sia per gli educatori che li abitano. Sicuramente i compiti hanno uno spazio e un’importanza, sarebbe una menzogna dire che non ho dovuto imparare, nuovamente, a fare le divisioni. Non perché le abbia dimenticate ma perché, come molte altre cose, qui si fanno diversamente. Proprio oggi abbiamo terminato la quinta lezione del “corso di inglese”, attività iniziata con i ragazzi più grandi del pomeriggio. Oltre alla grammatica abbiamo provato a utilizzare dei giochi, per rendere l’avvicinamento a questa lingua tanto strana e gutturale forse un po’ meno ostico. Tuttavia, guardando oltre al lato didattico, ho incontrato un luogo pronto ad offrire molto, in primis la possibilità di conoscere un paese e una realtà nuova attraverso una rete sociale estremamente reale e vera, e inoltre disposto ad accogliere con grande curiosità e interesse il diverso. Per certi versi è stato facile, lo devo ammettere. Io e Sofia, la mia compagna di progetto e – nonché meno – di stanza, in una delle prime settimane abbiamo sfruttato la cucina del centro per sfornare pizza a volontà insieme ai ragazzi e alle ragazze. Beh che dire, da quel giorno in poi abbiamo deciso di far diventare questa un’attività consolidata, istituendo un giorno a settimana per cucinare tutti insieme. In vista del ponte di Halloween e della festività dei morti, el día de los muertos, abbiamo invece creato maschere e pupazzetti con bottiglie di plastica, tappi e rotoli di carta, ridando vita a materiali ormai destinati alla basura (l’immondizia). Ancora più interessante è stato aiutare i bambini del centro a preparare il “pane dei morti”, pasto che viene poi portato al cimitero o nelle case per nutrire le anime dei defunti. Pensate che sia finita qui? Ovviamente no, poiché oltre al pane portano in dono ai propri cari tutto ciò che più hanno amato in vita, si tratti di una bevanda particolare, di una canzone o di chissà cosa. Non si può generalizzare ma salta subito all’occhio, osservando in primo luogo i cimiteri con i loro mille murales e i cortei funebri con i loro canti, come qua in Bolivia la concezione della morte sia differente da quella italiana e, in generale, europea. Ma, per ricorrere ancora una volta a stereotipi e modi di dire, non è tutto oro quel che luccica. Il primo impatto non sarà stato troppo crudo, eppure si possono intuire, oppure ci vengono direttamente riferite dalle responsabili, storie più dure e crude, soprattutto riguardo alle vicende personali dei ragazzi. È mia intenzione cercare di entrare, in punta di piedi, in questo paese e, possibilmente, anche in alcuni sprazzi delle loro vite.

Isabella, in servizio presso la sede Gondwana Aria Cedin di La Paz