De nube en nube, se hace la carretera

Giulia Scotto di Covella, SCU Ecuador 2022

🎵 🎶 Autopista desierta, por la sierra dormida, el motor de mi mente funciona de prisa… 🎶

Sono le 7.30 di martedì mattina, in viaggio verso el cantón di La Maná dove lavorerò questa settimana. Salendo sulla cordigliera occidentale delle Ande, già in una mezz’ora che abbiamo lasciato Latacunga ci si ritrova nel bel mezzo del nulla.

A quest’ora, di tutti i giorni dell’anno, il Sole è già salito; ma ancora non scalda, illumina soltanto. Con tutta la sua calma spunta dalle cime più alte, diffondendo la sua luce da dietro il profilo delle montagne e risvegliando lentamente le pesanti nubi dalle insenature tra le pareti. Va a dare il buongiorno anche alle pecore e ai lama dei contadini, i quali si notano nel paesaggio come lontane macchie di colore con un cappello, già al lavoro nei loro campi. L’aria che entra dalla fessura aperta del finestrino è quella bella fresca delle prime ore del giorno, che con la sua frizzantezza ti distrae un po’ dal sonno quando devi viaggiare di prima mattina.

 

🎶… y una radio que charla, mientras voy conduciendo camino del alba…🎵

 

Perennemente accesa, l’unica ad aver voglia di chiacchierare in questo momento è la radio, questa volta con una salsa molto empatica. In totale silenzio contemplativo, ognuno è assorto nei propri pensieri, mentre la macchina scivola sulla stradina che segue le dolci curve naturali delle Ande, costeggiandole o scavalcandole.

Le nubi, che prima erano completamente immobili, iniziano ora a dissolversi leggere creando dei vuoti e pieni di vapore che si lasciano attraversare da noi. Così, uscendo da una nube ed entrando in un’altra, si mostrano le comunità indigene tra le varie vallette dalla vegetazione brulla e dai ripidi fianchi coltivati, con le loro piccole capanne di legna e paja (foglie secche di Calamagrostis sp. usate per il tetto) da cui esce il fumo della fogata (focolare). Ogni tanto, sul ciglio della strada, all’improvviso spunta qualche contadino che aspetta il passaggio della prima macchina verso la città, con il poncho a righe dei Panzaleo per difendersi dal freddo, e l’immancabile cappello per difendersi dal Sole. Quando si passa per Zumbahua, l’odore di legna bruciata si mischia con quello di fritadas de chanco (carne di maiale) e choclo (mais) bollito, cucinati in strada per la colazione dalle donne che ti invitano a provarli con il loro sorriso.

Senza accorgermene, ora il Sole ci sta inondando con il suo calore, fissandoci dall’alto. La neblina (nebbia) cede il posto ai campi dorati di grano e verdi scintillanti dell’erba alta dei pascoli, di contrasto con la scura terra vulcanica preparata per le coltivazioni. Le cime di velluto dorato e verde ondeggiano dal vento che accarezza costantemente le piccole piante erbacee che possono crescere a queste altitudini, risaltando l’azzurro del cielo luminoso. Raggiunto il punto più in alto della cordigliera, si lasciano ammirare le vette più maestose: gli Ilinizas, il Cotopaxi, il Chimborazo, si stagliano verso l’alto con un importante distacco dalle altre catene che li uniscono.

Tra le varie curve, la macchina inizia ad abissarsi in discesa, verso profondità dove finalmente la vegetazione prende il dominio sbracciandosi in ogni direzione dai ripidi muri di terra e roccia. I rami, carichi di foglie e fiori di ogni dimensione e forma, si inerpicano gli uni sugli altri nella fitta popolazione alla disperata ricerca di un angolino di luce. In qualche frangente si scorgono delle case di legno e caña (canneti maturi) rialzate dal suolo; si intravede qualcuno che raccoglie agrumi, platani e papaye, e qualcun altro più su che lavora nel suo campo di canna da zucchero sui ripidi fianchi di terra. Tra le infinite insenature delle montagne, come sangue nelle vene di un corpo, l’acqua scorre dalle vette più alte gettandosi in altissime cascate, che scavando il proprio percorso creano ruscelli e piccole pozze per ospitare innumerevoli uccelli e farfalle colorati.

Ecco, per me l’Ecuador è così. Che tu stia planando sul paramo andino a sfiorare il cielo con un dito, o che tu sia immerso nella fitta e umida foresta che sta ai suoi piedi, l’ambiente ti ha sempre in pugno. E non puoi far altro che lasciarti riscaldare o bagnare come una qualunque pianta, animale o roccia del paesaggio. L’asprezza di questo ambiente fatto di estremi mi dà l’idea di aver plasmato il suo popolo, il quale sembra viverci in armonia in qualche maniera. E per me questa è una grande forma di adattamento verso le cose che nella vita non si possono controllare, quelle che succedono e basta.

Ogni essere umano che lotta per cercare un equilibrio nella propria suerte (destino), dovrebbe ricordare che l’equilibrio non è mai statico, bensì dinamico: a volte sei trasportato in alto col sole, e altre volte in basso nelle nubi.

 

Non potendo cambiare l’ambiente, sei solo tu quello che si può adattare. Vivere qui ti costringe ad ingegnarti per fare i conti con determinate condizioni, e per me vuol dire saper prendere la vita per quello che è con tutte le sue sfumature, gozando y disfrutando (godendo e sfruttando) di quello che ci offre e aguantando (sopportando) i momenti più ardui.

È proprio questo che mi sta insegnando questa esperienza, ed è esattamente ciò che voglio imparare. Voglio cogliere questa opportunità per iniziare, piano piano, a fluire tra tutte le cose che succedono nella vita. Ricordando che, qualunque cosa accada…

 

🎶… pero sin embargo, sigue la carretera🎵”.

 

Giulia Scotto di Covella, SCU presso la sede di Gondwana Latacunga