Una mamma

di Bianco Sara, sede di Wanging'ombe

L’immagine della mamma, della nonna, della sorella, della donna qui ad Inuka CBR, centro di riabilitazione su base comunitaria a Wanging’ombe, è una costante. 

Arrivano dalla strada sterrata, con il bambino legato addosso, due o tre borse tra le braccia e un sacco in testa. 

Si fermano in segreteria, dove una donna, le accoglie. Il primo professionista che incontrano probabilmente è una donna, visiterà il loro bambino e le chiederà la loro storia. Storia nella quale di solito va tutto bene (“nzuri”), ma “il bambino non cresce” “non parla” “non cammina”.  La storia finisce con la domanda “può guarire?”. Una domanda in cui sono nascoste tutte le speranze, le preoccupazioni e a volte anche le consapevolezze di una mamma, che vede suo figlio diverso dagli altri. 

La mamma che ha iniziato a farmi riflettere sulla donna è stata Mama Tulla. La prima volta che siamo andate a visitarla a casa eravamo tre donne. Tre donne che hanno camminato nei campi, tra l’erba alta per arrivare ad una casa, dove vivevano altre due donne. Entriamo in casa e non c’era nessuno. Abbiamo dovuto cercare la mamma, arrivava dai campi. 

Entrata in casa ha lavato e profumato la bambina, ero un po’ scocciata. Abbiamo aspettato due ore. 

Poi è venuta in salone.

Una mamma anziana, per la media tanzaniana. Piccolina fisicamente e di viso, negli occhi sembrava avesse visto passare cento anni. In braccio una bambina. Una piccola donna accartocciata. Tulla soffre di una grave forma di tetraplegia, ed è gravemente malnutrita, perché non riesce più ad alimentarsi. Ma Tulla ci sorride e stringe le labbra per mandarci dei baci. 

Passiamo del tempo con lei, farle fare gli esercizi è faticoso, i tendini si sono accorciati e i muscoli sono davvero pochi. Quando andiamo via Mama Tulla ci dice “Mungu awabariki” (che Dio vi benedica), stringendoci la mano e facendo il tipico inchino di referenza. 

Circa un mese dopo, Mama Tulla e la bambina vengono a fare il soggiorno di riabilitazione al Centro Inuka. 

Tulla ha 14 anni e pesa 14 kg. Viene seguita con attenzione, ha un’operatrice, donna, che passa con lei ogni minuto di terapia. Le viene data la chakula dawa (il cibo medicina), un cibo speciale che si dà per reintegrare le proteine, vitamine e sali mancanti in casi di malnutrizione. Rimane due settimane e piano piano riprende colore, riprendere a sorridere e la mamma con lei. 

Mi è capitato di passare del tempo con Mama Tulla, il suo sorriso mi è entrato dentro e non riuscivo a guardarla o sentirla parlare della sua bambina senza sentire un forte nodo in gola. Sorrideva alla sua bambina, la accarezzava, la chiamava. 

Alla fine della settimana abbiamo un momento di saluti, Mama Tulla ci ha ringraziato e ci ha detto che grazie a noi ha ritrovato la speranza. La sua bambina è in una situazione difficile, alcune persone si strapperebbero i capelli se si trovassero in questa posizione. Ma Mama Tulla ci sorride e i suoi occhi lucidi mi trapassano il cuore. “Nakushukuru” (Ti ringrazio) sono le ultime parole che le escono dalle labbra prima di lasciare la “chumba cha mazoezi” (stanza degli esercizi). 

Grazie a Mama Tulla il mio cuore si è aperto a tutte le mamme che vengono qui. Quelle in gamba che portano sempre il loro bambino, quelle più silenziose che nascondono una grande sofferenza, quelle che hanno solo voglia di chiacchierare per sentirsi il cuore più leggero. 

Ogni mamma, ogni nonna, ogni sorella che si affaccia al Centro Inuka ha una storia da raccontare, ma non la sentirai dalle loro parole. Per ascoltarla dovrai sentire con gli occhi e guardare con il cuore. 

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