Una giornata con Amalia

di Marita Carrieri

Stamattina sveglia presto, ci riprovo. È la terza volta che prendo accordi con una signora della comunità per andare con lei al lago. Si chiama Amalia, ha 48 anni e ha perso la mamma quando ne aveva due. Vive con suo padre, un tempo era lui ad accompagnarla nelle uscite in barca, ma da quando si è ammalato ci va da sola.

Quando mi ha raccontato questa storia, mi sono sentita in dovere di aiutarla, di “uscire” dal centro dove lavoro per prestare davvero un servizio che sia utile alla comunità e che possa tessere relazioni significative di fiducia e di mutuo appoggio.

Ci incontriamo sotto casa sua. Eccola, ha già l’aguayo sulle spalle, gonfio più che mai. Per fortuna il carico è lieve: c’è solo erba secca. Dice che è da bruciare e la porterà nel suo campo: quella terra solcata di fresco che va a finire nel lago, come i campi di tutti, qui a Huatajata.

Amalia possiede una barca a remi che non è messa molto bene, infatti prima di partire dobbiamo svuotarla dall’acqua entrata da qualche buco.  Dice che è da sistemare e che lo farà appena possibile con suo zio. (Foto 2)

Amalia esce con la barca due volte alla settimana: per mettere le reti e per raccoglierle. Così se sarà fortunata potrà vendere qualche pesce al mercato.

È un’attività faticosa da fare da sola e ha bisogno di molto tempo perché oltre a remare bisogna pulire la rete, vedere se c’è qualche pesce nel mezzo e reimmergerla nel lago. Quando si esce in due questo lavoro è più accurato e ci sono più probabilità di prendere pesci.

Ecco che ci siamo, siamo in acqua. Amalia inizia a remare poi ad un certo punto si ferma e inizia a raccogliere la rete, non sembra ma è lunga!

Ogni tanto troviamo qualche “carachi” o “pesce giallo”, qui li usano per una zuppa chiamata wallake, insieme a patate, cipolla e un’erba molto profumata, chiamata k’oa. Intanto io la osservo e provo un po’ di tristezza nel vederla tirar su la rete e non trovare molti pesci… quelli saranno il suo guadagno, ma purtroppo, un po’ a causa dell’inquinamento che sta facendo scomparire molte specie, e un po’ a causa dell’arrivo dei motori sulle imbarcazioni (che permettono di andare più lontano e avere possibilità di trovare più varietà di pesci), chi ha la barca a remi è penalizzato.

Ora che Amalia ha finito di raccogliere tutta la rete, tocca a me! È il mio momento, prendo i remi e inizio a muoverli di qua e di là fino a quando trovo la giusta coordinazione tra l’uno e l’altro e riesco a far muovere la barchetta. Mentre remo, Amalia con calma e pazienza pulisce la rete e la rimette al lago. Ogni tanto mi dice: “arriba”.. “abajo”.. sono i comandi per indicare su quale remo insistere. Ma anche se la mia barca ondeggia qua e la, ho un punto fisso che guardo che mi assicura la direzione giusta da seguire.

Ci avviciniamo alla riva, che appare piena di totora. Sì, proprio quella, la famosa pianta lacustre che poco lontano da qui la gente del lago utilizza per costruire isole galleggianti.

Amalia ne raccoglie un po’ da dare ai suoi conigli, che poi scopro essere porcellini d’india, qui chiamati cuy, la gente del posto li mangia e lei li alleva per venderli vivi.

Sempre tra la fitta totora, lascia i pesci gialli in una rete. Tornerà a prenderli domani prima di andare a venderli al mercato, così restano vivi e ha più possibilità di venderli.

Finalmente, dopo varie manovre con i remi tra la totora, rientriamo e ormeggiamo la barca a riva. Lei carica l’erba nell’aguayo e torniamo alla base.

Decido di stare con lei ancora un po’ e seguirla nelle sue faccende. Andiamo subito a lasciare la totora ai cuy e poi andiamo a liberare le pecore nei prati affinché possano mangiare un po’ di erba fresca.

Termina qui la mia giornata con Amalia, ora ognuna di noi va a preparare il pranzo e poi lei chissà quante altre cose farà prima che il sole tramonti e che il vento la costringa a ritirarsi in casa.