Giro tondo, casca il mondo

di Alice Vita, sede di Ilunda

Io, Paola, Chiara, Gabriele, Gala e Cristiano siamo ad Ilunda da poco più di due mesi ormai per svolgere il nostro Servizio Civile. Il centro orfani “Tumaini” è diventato la nostra casa e le attività con i bambini occupano il nostro tempo e i nostri pensieri. Il tempo è trascorso velocissimo anche se pare di essere qui da una vita. E’ una sensazione strana di appartenenza e di estraneità.

La sera qui il silenzio è assordante; a volte lo riempiamo con risate, musica, film, altre volte invece rimaniamo così, con i nostri pensieri e lo schermo del cellulare ad illuminarci. Sono queste le sere in cui mi rendo conto che un anno è lungo, che la monotonia è una trappola e che casa mi manca un po’. Eppure sono pensieri passeggeri, vengono e vanno via veloci non appena incrocio uno sguardo, poso gli occhi sui cartelloni da preparare o li chiudo per addormentarmi.

Con gli altri e le altre compagne di viaggio va bene, ci stiamo affezionando e stiamo imparando a conoscerci veramente. Ogni giorno lasciamo andare qualcosina in più. Conoscersi veramente vuol dire anche svelare le stonature; quel tono acido che ti viene quando sei stanco, quella risposta secca che dai a prima mattina quando non c’è il caffè, quel nervoso nel vedere il bagno sporco… Stiamo capendo come fare, dove posizionarci l’uno rispetto all’altra. Spero che riusciremo sempre ad essere come siamo stati fino ad ora, affiatati e sinceri, anche nell’esprimere le difficoltà, anche perché è da noi tutti, tutti assieme, che traiamo le energie migliori.

Forse questo è un momento un po’ critico, in cui si ha la sensazione totalmente ridicola) di aver già capito le persone con cui si è, di non aver poi ancora molto da scoprire. Ecco il pericolo; questa persona è così, questa è cosà. La tentazione è quella di distogliere l’attenzione, di socchiudere la porta al nuovo che si ha accanto. Il mio proposito allora è quello di essere più entusiasta, di esserlo ogni volta che posso, perché la routine non è una condizione esterna ma un modo di percepire la vita. Che cosa c’è di ordinario in quello che stiamo facendo? Che cosa c’era di ordinario in quello che facevamo in Italia?

Chi meglio dei bambini mi potrebbe ricordare che la vita non è mai uguale a sé stessa. Crescono, cambiano, imparano. Quando siamo arrivati c’erano alcuni bimbi di pochi mesi; ecco, sono irriconoscibili! Tra pochi mesi frequenteranno il Wachanga (spazio dedicato ai bambini dai 6 mesi ai tre anni), mentre altri passeranno in Chekechea (equivalente ad una scuola dell’infanzia).

Stiamo imparando a conoscere anche loro e a conoscerli uno a uno. Questa cosa è veramente bella; quando mano a mano questo o quel bambino smette di essere un “orfano” tanzaniano per diventare il ragazzino timido che ama tanto leggere o la bimba scalmanata che vuole sempre essere presa in braccio. Ed ecco che il senso del mio essere qui diventa più chiaro, le attività più belle, i saluti più caldi e le parole (non molte per ora) più importanti. Anche la nostra “dada” (che in swahili vuol dire sorella), la ragazza che ci aiuta con i lavori di casa, ora ha una forma più precisa; è preziosissimo averla con noi e le nostre prime confidenze hanno il sapore di un vetro infranto; quella finestra al riparo della quale ancora guardiamo la Tanzania. 

Io, per quel che mi riguarda, qui mi sento proprio bene. Ho lasciato un pò andare le mie paure e continuo a sentirmi accolta. Ogni mattina mi accoglie la dada, mi accolgono Chiara, Paola, Gala, Gabriele, Cristiano, i bambini che mi chiamano quando apro la porta di casa, le maestre… Questo è il tipo di routine per cui vale la pena combattere!

Una civilista

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