Il vuoto è pieno, il pieno è vuoto

di Alessandra Lunghi

Piena di contraddizioni, ma quale paese non ne ha.

Chi di noi non vive di stereotipi? La Bolivia, come paese del Sud America, nel nostro immaginario fa parte di un mondo colorato, pieno di musica, di gente accogliente. La Bolivia è una mosca bianca, nella parte andina ancor di più. Scorbutici come solo le persone isolate possono essere, dei piccoli istrici, timidi ai confini dell’intolleranza e la musica…una delle esperienze più assurde della mia vita. Riescono a fare canzoni sul “fuego pentecostal”, vi rendete conto? Un dolore ogni volta che entro in un mini e devo sorbirmi ore di viaggio con queste colonne sonore, sangue per le orecchie (non me ne vogliate, sono una musicista). Eppure vedere i loro balli tradizionali, ascoltare i loro suoni striduli, affascina sempre.

Assurdi, sono le persone più atipiche che io abbia mai conosciuto. Ancora speranzosi nel recupero di uno sbocco sul mare, perso 140 anni fa, hanno una marina militare, una festa nazionale del mare e politiche di elezione basate su questo argomento. Hanno una pigrizia inaudita, non possono fare neanche 10 passi per comprare del pane (il territorio è un po’ scosceso, effettivamente), ma lavorano giorno e notte, 7 giorni su 7. Molesti, quasi ridicoli quando bevono, ma potrai continuare a passeggiare per il loro paese in solitaria senza alcun problema di sicurezza personale. Se chiedi loro cose che reputano scomode, non ti risponderanno e ti sale la bile, ma non ti diranno mai di no.

Poi c’è lui, il nulla boliviano.

Una definizione che ci ha trasmesso il buon vecchio Dario, ex volontario in Bolivia, e che racchiude tutto quello che si può trovare/provare qui.

Quando si parla di nulla subito si pensa ad un’accezione negativa, di vuoto, ma anni e anni di istruzione (maledetto esame di filosofia orientale) ci insegnano che il nulla nasce da un tutto.

Ricordo ancora il primo viaggio da La Paz a Huatajata, il sonno immenso che avevo e lui: il nulla. Usciti da El Alto, una cacofonia di mattoni a perdita occhio, ci si immerge in una immensa pianura (piccolo particolare: siamo a 4000 metri) con puntini rossi sparsi, le case, mucche, e anche i lama sì, il lago e sullo sfondo la cordigliera, nada mas. Vi assicuro che l’impatto è fortissimo.

Dopo tanti viaggi in questa terra, questo nulla continua a tornare in maniera sempre più preponderante, non c’è mai fine alla sorpresa e ai luoghi sperduti della Bolivia. Viaggi eterni dove per ore vedi solo natura, rigogliosa e verde, rocciosa, desertica, la stessa natura che noi continuiamo a distruggere.

Da casa mi dicono che quello che succede in amazzonia si sa, ma che si percepisce come lontano. NO! Il mondo è lo stesso.

Qui la Pachamama, Madre Terra, è onnipresente, ma la contraddizione è dietro l’angolo. Le offerte a lei sono all’ordine del giorno, ma tirare un sacchetto di plastica a terra è normale così come offrirle il refresco o foglie di coca per la festa.

La Bolivia mi sta costringendo a fare i conti con me stessa e con il rapporto con la Pachamama. Si è lontani da qualsiasi forma tecnologica che possa distrarre e il rapporto con le persone diventa fondamentale: si cerca il contatto con i vecchietti che sono sempre pronti a scaldarti le mani dalle gelide temperature; si tenta sempre la comunicazione con adolescenti e bambini che faticano a guardarti in faccia; si desidera il confronto e la discussione là dove un tempo ci si sarebbe rintanati dietro un telefono; si trova casa in tre persone che fino a qualche mese fa non si conosceva; si comprende l’importanza dell’acqua e di quanto si possa fare a meno della doccia giornaliera, non puzziamo eh, ma soprattutto si apprende l’arte della pazienza… Taaaanta pazienza!