Gli allievi della selva

di Valerio Ciampi

Girando per l’Ecuador non si può non notare l’esuberanza del verde in ogni spazio naturale. Soprattutto il verde delle foreste che contrastano per la loro bellezza con il verde monotono dei pascoli che ormai invadono gran parte del paese. I pascoli si sono diffusi per seguire un modello di agricoltura esportato da paesi con un clima del tutto differente. Qui sono anche più produttivi che nei paesi temperati, ma molto meno sostenibili. La foresta è il sistema vegetale più naturale per l’Ecuador quasi in ogni suo luogo, a partire dalle foreste di mangrovie sulla costa, fino alle ormai rare foreste di guanderas a più di 3600 metri di quota. In mezzo ci sono la foresta secca e la foresta nebulare, mentre dall’altra parte delle Ande, nell’oriente c’è l’infinita e impenetrabile foresta Amazzonica. Il fatto che questo modello vegetativo sia il più naturale per l’Ecuador, per quanto evidente, non è bastato a far ragionare tutti sull’agricoltura, sulla sostenibilità e sull’economia. Quelli che lo hanno fatto però hanno avuto, in modo diverso, tutti ottimi risultati per la loro vita.

Nella nostra esperienza di servizio civile abbiamo conosciuto tre di queste persone.

Il primo è un agricoltore, ormai canuto, che possiede solo quattro ettari di terreno che coltiva senza ricorrere ad alcun mezzo chimico, quindi, diremmo noi, in maniera biologica. Si chiama Francisco Gangotena, detto Pancho. La sua azienda non ha nessuna certificazione biologica, ma ha deciso comunque di coltivare così, non per vendere di più, ma semplicemente perché ha capito che seguendo gli insegnamenti della “Madre Selva”, si produce di più e si fatica di meno. Solo con l’esperienza, i consigli di vecchi contadini e poche letture, è arrivato a utilizzare un metodo molto simile a quello della permacultura, che fa della biodiversità, delle consociazioni e della gestione del suolo, il fulcro della coltivazione. Gangotena dice che per imparare a coltivare bisogna farsi un giro nella foresta e domandare alla Madre Selva come fa a produrre foreste così rigogliose e sane. E la foresta risponde sempre, spiegando che in un sistema complesso e integro, ogni componente è utile nel ciclo di produzione e non esistono scarti. Nella selva non c’è posto per i prodotti chimici: né pesticidi, né fertilizzanti. I fertilizzanti vengono dalle foglie degli alberi che pianta ai margini dei campi, dai microorganismi che prosperano nel suolo e creano concime come del bestiame in miniatura. I pesticidi non servono perché nell’infinita varietà di esseri viventi che popolano la selva, non c’è spazio per una sola specie che si diffonda come una pestilenza. Con una semplicità fiabesca Pancho Gangotena riesce a spiegare anche ai contadini meno istruiti, venuti dalle alte Ande per imparare i segreti del biologico, i meccanismi che permettono ai suoi piccoli quattro ettari di produrre tanto da poter mantenere dieci lavoratori dipendenti.

 Il secondo è un giovane andino che invece ha studiato anche in Europa appositamente per imparare la permacultura. Orgoglioso delle sue origini andine, ma aperto ad altre culture, Geovani Yanchaliquin ha deciso di mettere in pratica quello che è il sogno di molti, ma che pochi compiono usando mille scuse. Con pazienza e cervello ha messo in atto tutto quello che ha studiato per costruire la propria casa utilizzando i materiali che aveva a disposizione. Inoltre è riuscito, grazie agli insegnamenti della foresta a coltivare piante che nessun altro lì intorno, a 3600 metri di quota riesce a coltivare. Grazie agli alberi che ha lasciato crescere per anni, ha creato un microclima adatto a centinaia di tipi di piante aromatiche, ortaggi, frutti della passione e persino fragole di bosco. Non essendo agricoltore di professione, ha trasformato la sua granja (fattoria) in un luogo di turismo sostenibile, dove i visitatori possono dormire in una casa ecologica e meravigliarsi dei benefici del sistema forestale.

Il terzo è Ramiro Uribe Silva, possessore di 150 ettari di foresta che un tempo utilizzava per vendere legname e carbone per far studiare i propri figli. Dopo essersi trasferito in città per dodici anni, è tornato al suo terreno alla fine degli studi dei figli. Non dovendo più mantenerli e non volendo più distruggere la sua foresta, ha trovato un modo alternativo per sfruttarla. Grazie ad alcuni scalatori che si erano interessati alla parete di basalto colonnare nella sua proprietà, ha iniziato una collaborazione per riforestare la proprietà e organizzarsi per ospitare, dapprima gli arrampicatori e poi tutti i turisti che ora affluiscono con una certa frequenza per ammirare la sua foresta, le pareti di basalto e la spettacolare cascata che porta acqua alla sua casa e al suo mini allevamento di trote.

Forse questi “allievi della selva” possono illuminare la strada a tanti coltivatori poveri, rimasti vittima di un modello di sviluppo importato in blocco da paesi completamente differenti e che li costringe ogni anno a dipendere dai fertilizzanti che gli vendono le stesse ditte da cui comprano i veleni che impoveriscono i loro terreni.

Forse possono anche illuminare tutti quelli che in buona fede continuano a proporre i propri modelli di sviluppo, senza aver chiesto prima un parere alla Madre Selva.

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