Doña Carmen - Una "mamá para los venezuelanos"

di Francesca Buccioni

Da quasi un anno e mezzo, Carmen Carcelén da ospitalità a immigrati venezuelani che percorrono il confine con la Colombia, passando per la provincia di Imbabura, a nord dell’Ecuador. Più di 8000 venezuelani sono passati da “mamá Carmela” che offre loro “un bagno, un pasto, un materasso, un cuscino”.

Siamo a El Juncal, un piccolo paese nella Valle del Chota, la regione ecuadoriana situata tra la provincia di Imbabura e Carchi ed abitata da popolazione afro discendente. Immersi nella cultura del Valle, tra balli tradizionali, maschere, la musica e l’allegria tipica di un popolo prevalentemente povero, che ancora oggi è visibilmente ed in netto svantaggio economico rispetto al resto del paese, abbiamo avuto il piacere di conoscere Carmen.

Lì dove il clima diventa caldo e secco, il terreno arido ed i colori cambiano, prendono vita le comunità afro-discendenti che con la loro musica riempiono le strade di terra della Valle. Tre giorni in cui ci siamo immersi nel vivo delle comunità di una zona ricca di particolarità e diversità culturale che la rendono unica nel Paese.

Il processo storico vissuto dagli schiavi neri delle coltivazioni di canna da zucchero ha fatto sì che quest’area si trasformasse in teatro di appartenenza, orgoglio e riscatto. È in questo scenario, apparentemente povero ma ricco nell’anima e nella cultura, che Carmen ha iniziato a mostrare la sua solidarietà ai migranti venezuelani. Solidarietà genuina e disinteressata di una donna, nera e proveniente da una storia caratterizzata da povertà.

Mossa da una forte fede cristiana, “doña Carmela, Candela” (come spesso la chiamano) ha iniziato lo scorso anno a creare un “ponte” per i passanti venezuelani. Ponte fondamentale per chi, dalla Colombia, procede il cammino verso Sud: la maggior parte dei migranti si dirige verso il Perù. Un cammino difficile, in cui incontrano le difficoltà di chi abbandona tutto e con una sola “mochilla“, uno zaino, va in cerca una vita migliore.

Carmen offre loro un appoggio, un pasto, un letto, “una spalla su cui piangere” ci dice, niente di più semplice, niente di più necessario. I ragazzi venezuelani (la maggior parte di loro sono molto giovani) arrivano a casa di Carmen a gruppi, a giorni più o meno numerosi. Alcuni si fermano soltanto a mangiare o a prendere il necessario per continuare il cammino: dell’acqua, un kit igienico, delle scarpe; altri invece restano per una notte, due al massimo, per riposare, lavarsi, caricare il telefono. Carmen ci racconta di come per loro, dopo tanti giorni passati a dormire nelle condizioni più arrangiate, vedersi mettere a disposizione un materasso per dormire, anche solo per una notte, è la cosa migliore che possa essergli offerta, anche più di un buon pasto.

Carmen riesce a portare avanti la sua iniziativa di solidarietà grazie alla generosità di chi, come lei, decide di donare tempo, denaro o beni di prima necessità, che vengono consegnati a casa sua e con i quali riesce ad aiutare tante persone. Inoltre ci spiega che tutte le sere, all’arrivo dei migranti, la Croce Rossa presta attenzione medica e primo soccorso.

Negli ultimi mesi la sua storia ha avuto forte risonanza nel paese, tanto da chiamare l’attenzione di UNHCR/ACNUR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) che sta supportando Carmen nella sua iniziativa, anche se non in maniera formale, fornendo kit igienici e di prima necessità ed eventuale supporto burocratico.

La forza, l’energia di questa donna è ammirevole, in molti, compresi i suoi figli, spesso hanno cercato di metterla in guardia dalla possibilità di essere in pericolo. Carmen è però una donna che non si fa intimorire da pregiudizi: “è sicuro che, possibilmente, qualcuno dorma a fianco di un delinquente, ma questa gente, tutti, se ne vanno per una stessa ragione: fame, necessità, affetto! E se morirò per questo, che stiano tranquilli, me ne vado soddisfatta“.