¡Que viva la minga!

di Alessio Pieravoli

Sede: Guaranda

È passato esattamente un mese da quando sono atterrato in Ecuador e se c’è una cosa di questo paese che più di tutte ha colpito la mia attenzione, bhè, di gran lunga questa è la minga. La minga è un’antica pratica culturale di differenti popoli e comunità indigene, soprattutto andini, del continente Latino Americano. Questa pratica, basandosi sull’azione collettiva per il bene comune, ha permesso la sopravvivenza e lo sviluppo delle comunità stesse, promuovendo un forte spirito di solidarietà e reciprocità. Un concetto e una forma di fare le cose che dovrebbero risuonare come attualissimi, ma che invece si scontrano con la realtà di tutti i giorni e la visione individualista propria del mondo occidentale. 

 

In questo primo mese di Servizio Civile ho avuto la fortuna di partecipare a ben due minga ed ogni volta ne sono rimasto piacevolmente affascinato. È interessante e soprattutto stimolante osservare la forza che queste persone mettono in gioco per la causa comune; non è una cosa che sono abituato a vivere nonostante venga da un piccolo paesino, se non dai racconti dei miei nonni. Sta di fatto che, in entrambe le giornate, le comunità si sono adoperate per riforestare il paramo alto. I parami sono ecosistemi montani, discontinui, situati nella cordigliera delle Ande tra i 3000 e i 5000 metri di altezza, nel nostro caso a 4300 metri. Questi rappresentano la principale fonte di acqua tanto per le comunità locali quanto per quelle più a valle e la loro riforestazione gioca un importante ruolo per la loro stessa preservazione.

Una normale giornata di minga inizia con il ritrovo mattutino nella comunità, in questo caso quella di Cocha Colorada. Noi li raggiungiamo in macchina da Guaranda e, non appena arrivati, neanche il tempo di salutare che già una quindicina di donne inizia a salire nel cassone del nostro pick-up, mentre gli uomini prendono d’assalto il camion che trasportava le piante sistemandosi in cima alle sue due alte sponde.

Alvaro, collega del FEPP, mi spiega che dobbiamo avvicinarci il più possibile al paramo in macchina per poi da lì proseguire a piedi. È già il tragitto a farci capire il vero spirito della minga. Il camion carico di piante (e uomini) che viaggia davanti a noi rimane impantanato in una pozza di fango e solo grazie a delle lunghe corde spesse e un duro lavoro di squadra riusciamo a tirarlo fuori.  Una volta arrivati riusciamo finalmente a conoscere meglio le tante persone presenti, che fin da subito si rivelano di grande accoglienza e apertura. Tra una chiacchiera e l’altra, ogni partecipante viene richiamato all’appello per registrare la propria presenza alla minga per poi iniziare a distribuire le 9950 piante sui vari lama e cavalli messi a disposizione dalla comunità.

Naturalmente i tempi andini sono estremamente diversi da quelli a cui sono abituato per cui impieghiamo più di un’oretta prima di incamminarci. Il vento tira forte e camminare risulta molto più faticoso a queste altitudini. Raggiunto dopo un paio d’ore il punto prestabilito dalla comunità, ci dividiamo per coppie o gruppi di tre ed iniziamo, chi a colpi di zappa e chi trapiantando a mano, con il lavoro di riforestazione di piante originarie andine, Yagual  e Piquil. Il sole a 4300 metri picchia duro e nonostante la fatica, io e il mio compagno Segundo, tra una chiacchiera e l’altra e una breve siestita, terminiamo di piantare tutte le piante che avevamo nel sacco.

È in questo momento che vieni assalito da una forte sensazione di soddisfazione e compiacimento ed inizia la parte più bella della minga. Dopo aver condiviso il mio mate con alcuni compagni di minga, uno di loro mi chiede se ho portato con me la tonga. Non ho idea di cosa sia, ma osservo che tutte le donne intorno a me iniziano a tirare fuori dai loro coloratissimi mantellini delle altre coperte tutte accartocciate con dentro del cibo. Così, chi con patate, chi con ceci, altri con riso e palomitas, riusciamo a tirar su un bel “pic nic” grazie al contributo di ogni famiglia. Gli indigeni mi spiegano che questa usanza in lingua kichwa si chiama pambamesa e viene fatta tanto per dare risalto al lavoro comunitario svolto quanto per ringraziare la Pacha Mama del cibo offerto. Mangiamo tutti insieme intorno alla grande coperta rosa dove si trovava il cibo, tutti con le mani sporche di fango, ma soddisfatti e con il sorriso in bocca.

Con la pancia piena e dopo aver completamente fallito nel loro intento di farmi imparare il kichwa, facciamo un breve riposo e ripartiamo per tornare alla comunità che raggiungiamo solo dopo tre ore di camminata attraverso scenari andini mozzafiato. Giunti a destinazione, ci si raduna tutti insieme in un angolino del patio della scuola, punto di ritrovo della comunità di Cocha Colorada. Senza mai abbandonare la loro formalità nei discorsi, viene subito lasciata la parola al capo della comunità, un signore anziano sulla settantina (è estremamente difficile cercare di indovinare l’età degli indigeni) che con ampi giri di parole ringrazia tutti i presenti per l’impegno mostrato verso la comunità. Inizia poi ad affrontare il tema dell’acqua, rimarcando ancora una volta l’importanza del lavoro svolto. La parola passa poi ad Alvaro, ingegnere del FEPP che, sempre con estrema formalità, continua sul tema dell’acqua, sottolineando l’importanza delle azioni che i locali possono fare per la sua preservazione. Viene poi lasciato del tempo affinché ogni individuo della comunità possa dire la sua riguardo la giornata di minga. Molti sono gli indigeni ad intervenire ma, esprimendosi in kichwa, non riesco a seguire i loro discorsi. Alcuni, solitamente i più giovani, usano invece lo spagnolo e finalmente riesco a dare un senso a tutto quello che prima potevo solo interpretare da gesti e sguardi. C’è chi si lamenta per la zappa persa durante la giornata, chi rimprovera il lavoro poco preciso svolto da altri compagni e chi invece ringrazia e valorizza lo sforzo comune.

Nel frattempo, dalla cucina della scuola, un buonissimo profumo invade lo spazio della piazzetta dove siamo riuniti e una fila di donne in grembiule sbircia la situazione dalla porta, come a voler dire di darci una mossa. Così, dopo che anche l’ultimo componente della comunità ha espresso le sue opinioni, l’anziano capo villaggio si mette in mezzo al grande cerchio formatosi e riinizia di nuovo l’appello. Questa volta chi viene chiamato si dirige verso il centro del cerchio e consegna al capo villaggio il sacco di piante che gli era stato affidato all’inizio. Questo non era vuoto, bensì pieno delle fundas di plastica che ricoprivano il terriccio delle piccole piante. Nonostante avessimo lavorato tutto il giorno fianco a fianco, ho avuto come la sensazione che quel gesto fosse la riconferma del lavoro svolto da ogni singolo individuo oltre che alla prova che nessuno di loro abbia abbandonato la plastica in giro per il paramo. Una volta riconsegnato il sacco, ogni partecipante si avvicina alla porta della cucina dove gli viene offerto un piatto caldo di riso, pollo e patate come ricompensa per l’impegno mostrato per il bene comune. Io e Mattia osserviamo dapprima la scena dall’esterno poi decidiamo di aiutare con la distribuzione dei piatti vista la lunga fila che si era venuta a creare.

Nonostante la notevole diversità culturale, mi sono sentito per un attimo parte integrante della comunità, uno di loro, tanto che, una volta terminata la fila, ci invitano a condividere il pasto. È proprio vero che fare le cose in questo modo, poter affrontare gli sforzi insieme a dei compagni, spronarsi a vicenda durante una salita ripida è un’esperienza che abbatte ogni frontiera, che stralcia il tuo passaporto, rompe il tuo bagaglio culturale e ti fa sentire nudo e vivo! Come immaginavo già prima di partire, questo paese ha molto da insegnarmi ed anche questa gente, nonostante la poca istruzione e una vita isolata ad alta quota, ha molto da insegnare a tutti noi occidentali.

 

 EL PUEBLO UNIDO JAMAS SERÀ VENCIDO! 



“Hacer minga es recobrar lo humano, es recordar que la base de la construcción humana es la organización colectiva. La capacidad de trabajar, vivir, compartir y soñar juntos. Hacer minga es tener el valor de recuperar nuestra capacidad de afectarnos los unos a los otros. Hacemos minga cuando somos conscientes de nuestra condición comunitaria y cuando construimos colectivamente, cuando pensamos con los otros formas de mejorar y hacer juntos.”

Fai conoscere a tutti le nostre storie!

Condividi su facebook
Condividi su twitter
Condividi su pinterest