La mia professione per scelta e vocazione

di Chiara Africani, sede di Ilunda

Ero piccola quando nella mia testa iniziò a ronzare l’idea di voler partire per l’Africa. 

Lungo il mio percorso di vita ho compiuto diverse scelte, alcune della quali volte a soddisfare questo desiderio. Come per esempio la scelta di voler diventare un’infermiera. Potrebbe risultare stupido, ma svolgere questa professione in un posto come l’Africa potrebbe rendermi una persona completa. Non riesco a vedermi in un classico reparto italiano, che cammino, corro seguendo principalmente gli ordini che mi vengono dati da personale più qualificato di me. Sento il bisogno di voler ricevere soddisfazioni, vorrei tornare a casa dopo il lavoro ogni giorno più ricca, rispetto a come sono entrata. Ma più che altro vorrei dare tanto, e dedicare il mio tempo a tutti coloro che ne hanno veramente bisogno. 

Con ciò non voglio assolutamente dire che solo queste persone, nate in un posto sfortunato, hanno bisogno del mio aiuto, ma sono io che ho bisogno di loro. Ora che sono qui, mi capita spesso di andare all’ospedale di Ikelu, un ospedale vicino al mio villaggio, nel quale ho avuto l’occasione, spesso, di vedere quello che un’infermiera può veramente dare. Ma soprattutto mi sono resa conto che è proprio in questi posti che la mia figura potrebbe risultare indispensabile. 

Per un po’ di tempo, abbiamo avuto un nostro bambino prematuro, Christian, ricoverato presso il reparto di maternità. Tra le tante infermiere che ci lavorano c’è Marta, un’ostetrica Italiana che si è ritrovata a ricoprire la figura dell’infermiera. Con l’occasione di andare a dedicare un po’ del mio tempo a questo bambino, ho avuto l’opportunità di vedere con i miei occhi quello che significa salvare un bambino, che con le sue grandi problematiche, è nato in un posto dove sono pochi i mezzi per poterlo mantenere in vita. 

Ecco, è questo quello che fa questa ragazza, dona la vita, andando avvolte contro la cultura locale e alla gente del posto, per poter salvare un bambino. Il quale se fosse nato in Italia non avrebbe, forse, avuto bisogno di tanto aiuto. Stando qui, in Tanzania, da oltre cinque mesi, lontano dalla mia vita quotidiana e da quello che è il mio lavoro in Italia, sto iniziando a sentire la mancanza della mia professione, ogni giorno sempre più forte, che da un lato mi turba, ma che dall’altro mi rende orgogliosa di quella che sono. 

Ad oggi non so cosa vorrò fare della mia vita futura, ma so che mi impegnerò a far sì che un giorno anche io potrò donare la vita a coloro che sono nati in luoghi sfortunati, ma a mio parere, ricchi di molto altro. Altro che in Italia ancora non sono riuscita a trovare.

 

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